lunedì 14 maggio 2012

Il Piano rifiuti della Provincia di Rieti non convince.

Abbiamo ascoltato a lungo, abbiamo organizzato numerosi incontri, in questi anni, per avere informazioni certe sui modi e sui tempi per procedere, in provincia di Rieti, finalmente, ad una corretta politica nella gestione dei rifiuti. Abbiamo proposto buone pratiche attuate in altri comuni del Lazio, basati sui principi fondamentali che caratterizzano, oggi, la gestione del RSU: diminuire a monte la produzione dei rifiuti, riciclare tutte le componenti utili, trasformare e quindi riutilizzare la frazione indistinta, ridurre progressivamente fino a ‘zero’ il conferimento in discarica. Negli anni abbiamo discusso di possibili nodi problematici da risolvere. Oggi non possiamo far altro che constatare che il Piano rifiuti della Provincia di Rieti non ci convince affatto. Può sembrare un giudizio un po’ eccessivo e quindi è necessario spiegare. Innanzitutto nel merito del progetto. Da parte dell’amministrazione provinciale si fa riferimento allo studio curato dall’Università ‘La Sapienza’ di Roma (2008) che essi stessi definiscono studio di base per l‘elaborazione del Piano. Quindi, com’è giusto che sia, non è un Piano, poiché questo lo elaborano le amministrazioni pubbliche con il conforto delle informazioni a carattere tecnico scientifico. Infatti un buon metodo di sinergia tra le amministrazioni pubbliche e i centri di ricerca è quello nel quale ognuno si fa carico delle proprie responsabilità in relazione ai propri ruoli e funzioni. Quindi non è ozioso domandarsi che cosa ha chiesto l’amministrazione provinciale all’Università; a quali domande doveva trovare risposte lo studio di base? In numerose dichiarazioni alla stampa il Presidente Melilli e l’assessore Felici affermano che con questo piano si è proceduto, finalmente, a dotare la provincia di Rieti di uno strumento utile anzi indispensabile per chiudere il cosiddetto ciclo dei rifiuti. Ma come lo si chiude è una scelta politica non certo solamente tecnico-scientifica. Innanzitutto constatiamo che gli obbiettivi di recupero del 40% sono assolutamente insufficienti ad adeguarsi alle normative vigenti e non è poco, poiché stabilire percentuali di recupero maggiori implica una rimodulazione tecnico-economica del Piano. Altra questione: la chiusura del ciclo dei rifiuti. Nelle previsioni si indicano: impianto per il recupero della componente umida con la finalità di produrre FOS, separazione e vendita di metalli, carta e plastiche, riciclabili; produzione di Combustibile Derivato dai Rifiuti, scarti etc… Ora a proposito della produzione di CDR noi dobbiamo supporre che una tale indicazione sia stata fornita dalla Provincia di Rieti poiché, anche a livello regionale, esistono impianti per la produzione di inerti stabilizzati dalla frazione indistinta del rifiuto che consentono di ‘chiudere il ciclo’ anche di questa componente in modo economicamente vantaggioso ed anche nel rispetto dell’ambiente e della salute dei cittadini. La Provincia di Rieti, quindi, se indica il CDR quale soluzione per una componente del rifiuto opta per l’incenerimento. E perché una tale scelta? E’ realmente incomprensibile. Mentre di incenerimento si può ancora parlare nei casi limite in cui non ci sono, almeno momentaneamente, alternative in un processo di chiusura del ciclo dei rifiuti nelle quantità ‘importanti’ di centri densamente popolati, nel caso in questione è veramente una scelta scellerata ed immotivata. Oltre alle questioni sanitarie su cui si possono avere pareri discordi a seconda delle fonti scientifiche a cui si vuol fare riferimento, per le considerazioni di carattere economico non vi sono dubbi : è assurdo bruciare ciò che può essere economicamente vantaggioso. In questo caso il vantaggio consiste nella vendita degli inerti stabilizzati alle aziende che si occupano di costruzioni di infrastrutture, edili etc… Ci chiediamo chi ha dato input del genere e perché. I costi per la produzione del CDR sono indicati nelle diverse tabelle poste a commento sintetico delle trattazioni del Piano e non sono di poco conto. Ed allora perché si sceglie di far spendere i cittadini invece di farli guadagnare o per lo meno risparmiare? Possiamo anche aggiungere che il CDR , in Italia, può comprendere , in percentuali indicate e fissate per legge, anche parte delle frazioni ‘nobili’ del rifiuto, per rendere il Combustibile più efficiente energeticamente. Ciò significa che una siffatta scelta porta ad una inevitabile conseguenza: non vi sarà nessun incentivo a diminuire la quantità dei rifiuti prodotti e ad aumentare in modo significativo la percentuale di recupero poiché verrebbe meno la quantità ottimale per rendere economicamente vantaggioso produrre CDR. Esistono altre considerazioni. Nell’assenza di elaborazione della Provincia, alcuni comuni ed alcune unioni di comuni hanno elaborato propri progetti per la raccolta differenziata con obbiettivi ben più lungimiranti e più ‘informati’ di quello approvato dalla Provincia. Che fine faranno questi progetti?La Provincia ha messo in moto un meccanismo a dir poco farraginoso. Invece di dare indicazioni di massima, stabilire obiettivi di minima e strategia di chiusura del ciclo con la creazione di adeguati impianti e lasciare libertà ai comuni e proprie unioni, di gestire il ciclo dei rifiuti rispettando i minimi fissati dal piano, si dà vita ad un Consorzio di comuni a cui devono, ripeto devono, aderire i comuni se vogliono fruire dei vantaggi economici e degli impianti previsti nel Piano e nelle successive deliberazioni da questo derivanti. Quindi un papocchio da cui si tenta di uscire con l’individuazione di sub-ambiti omogenei che divengono un’articolazione dell’ambito provinciale. Ma come si procederà? Quali sono i procedimenti amministrativi per incentivare l’autonomia territoriale soprattutto se questa si presenta con caratteristiche migliorative rispetto agli obiettivi di Piano? Non si capisce. Tutto è ancora da esaminare con buona pace dei tempi di attuazione che inevitabilmente scivolano verso le calende greche. Ma allora a chi giova tutto ciò. Noi pensiamo veramente che non giovi a nessuno e che si farebbe meglio a seguire, e non sono pochi, gli esempi migliori che ci vengono offerti anche nella nostra regione. E poi, in questi casi, ma in molti altri, sarebbe necessario sopprimere questa sorta di autismo localista. Un’ultima parola, infatti, meritano localizzazione e tipologia degli impianti. Sappiamo che molti comuni della Bassa sabina romana stanno affrontando, in questi stessi giorni, problemi simili per il trattamento dei rifiuti, con l’obiettivo di affrancarsi della carenza di impianti. Ma allora non sarebbe meglio affrontare la questione a livello comprensoriale creando le premesse per la realizzazione di impianti dimensionati sulle necessità di una più amplia platea di utenti? Si migliorerebbero le performance economiche degli impianti stessi e diminuirebbe la spesa. Ed ancora dov’è l’apporto del Consorzio industriale così attivo in altri ambiti molto meno utili alla collettività?

Insomma questo Piano non convince affatto ed è necessario trasformarlo radicalmente.

Luciano Blasco



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