sabato 23 gennaio 2010

Mattoni sabini

Quello del bene rifugio e cioè gli investimenti in edilizia, è una favoletta che più non regge alla prova dei fatti. Eppure sia nei grandi centri urbani, sia nei piccoli comuni si continua a costruire senza sosta e senza criterio. Nella bassa sabina il paesaggio agrario ne è sconvolto. Ma non sembra opportuno a nessuno, tranne i soliti noti, fermarsi almeno per tentare un ragionamento su quanto sta accadendo. Il miraggio dell’investimento nell’edilizia sembra ancora essere all’orizzonte della nostra imprenditoria di settore. Ma qualcosa non funziona. Benchè si continui ad edificare non si vende un piffero. Ma allora perché si continua? E’ un mistero. Intere porzioni di territorio vengono sottratte alla loro vocazione naturale, nel nostro caso l’agricoltura, e sono destinate alla nascita di borghi e borghetti, ma non basta… Continuano a proliferare le aree industriali. Anch’esse piene di capannoni vuoti. Ogni comune rivendica una propria area industriale e/o artigianale. Anche più di una, se possibile. Ma come mai, in piena recessione economica, malgrado le dichiarazioni fiduciose del nostro governo nazionale, dovrebbero aumentare le disponibilità all’acquisto di nuovi spazi dedicati alla produzione ? Sorge il fondato sospetto che l’affare sia nel farle queste opere e patrimonializzare del denaro disponibile. In altri termini si costruisce e poi anche se non si vende, abitazioni o capannoni che siano, la moneta è trasformata in patrimonio edificato spendibile nei bilanci societari con quel tanto di plusvalore che non guasta. E’ una ipotesi su cui forse varrebbe la pena di riflettere. Per le pubbliche amministrazioni si tratta,invece, di distribuire un pò di denaro a ditte locali o 'amiche' cioè 'affidabili' e poi vada come vada. A Torrita tiberina si ha in progetto, in un'area agricola splendida, di intervenire per la creazione di un villaggio rurale: incredibile ma assolutamente legale giro di parole per non indicare una nuova urbanizzazione. Per non parlare di un iperprogetto condiviso da più comuni nell'area del Tevere in prossimità dello Scalo di Poggio mirteto dove si è ipotizzato di creare, non un semplice approdo come già ci sono in quel tratto di fiume, ma addirittura un porto fluviale. Un'onirica visione progettuale con tanto di moli, darsena, piccolo spazio del commercio. Non sto vaneggiando! E' proprio così. E chi ne sarebbero i fruitori? ma i turisti ...naturalmente. Opere, opere, opere di cui l'unica cosa certa è che saranno pagati dei tecnici per la progettazione , poi forse la realizzazione di qualche cosa ma per quanto riguarda il calcolo realistico tra costi e benefici neanche l'ombra. Intanto il territorio è sottoposto ad una cementificazione pesante come non si vedeva dagli anni settanta . A Poggio mirteto, per esempio, si costruiscono case e capannoni in una stessa area, così, artisticamente alla rinfusa. Se diamo un’occhiata all’area denominata Capacqua veramente la confusione regna sovrana. In poche centinaia di metri si osservano: un nuovo centro abitato (Borgo Sant’Antonio, per ora deserto), un centro sportivo, luoghi del commercio per l’edilizia, un deposito ACOTRAL, un’azienda florovivaistica, una grande azienda agricola, e nuovissimi capannoni giganteschi e vuoti.
Anche ammesso che si riescano a vendere o affittare non ci si capisce molto sulla destinazione urbanistica di quell’area: servizi, industria, commercio, agricoltura, residenziale. Insomma un caleidoscopio urbanistico senza senso. Ma di nuove costruzioni, apparentemente inutili ce ne sono a Filacciano, dove una nuova urbanizzazione ‘sociale’ è lì , invenduta e mai terminata. In un’area paesaggisticamente rilevante, ma nessuno se ne duole, anzi sembra che il malessere nasca dal fatto che non si è riusciti a ultimare e vendere e non a constatare che forse si è progettato e costruito senza l’attenzione reale ai fabbisogni reali. Ma di cose un po’ o del tutto inutili se ne sono fatte tante. Vogliamo soffermarci sul caso dell’outlet di Sant’Oreste? Siamo sempre nella stessa area geografica del Lazio e questa volta ci imbattiamo in una monumentale cittadella del commercio come ce ne sono ormai un po’ ovunque in prossimità dell’Urbe. Ma qui in mezzo ai pascoli, a pochi metri dal tutelato monte Soratte che c’azzecca (direbbe un noto esponente politico nazionale). Nulla !!! tant’è che i negozi non prosperano certo ed i fatturati di vendita languono. Così l’enorme villaggio del commercio allestito in modo tutto sommato gradevole, è un’altra opera inutile. Sembra, ma non ho dati certi, che attorno all’outlet si stiano sviluppando gli appetiti di palazzinari romani. Questi elementi allarmano. Il vecchio trucco di comprare aree agricole, che diventano commerciali e poi, magari, residenziali è un sempre efficace modo di operare dei nostri speculatori con l’assenso compiaciuto delle amministrazioni pubbliche. Io non sono un tecnico ma, per favore, c’è qualcuno che si premura di governare questi fenomeni. Possiamo lasciare il governo del territorio ai singoli sindaci senza una pianificazione di più ampio respiro. Ma nell’area della Bassa sabina queste sono ‘quisquiglie’ e ‘pinzillacchere’ rispetto al grande gigante con le gambe d’argilla che già comincia a lasciare le sue impronte, fameliche di territorio: ‘Il polo della logistica’ di Passo Corese nel comune di Fara sabina. Ma questa è un’altra storia…

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